Un articolo di Chiara Chiusi, corrispondente di “Panorama”* da Beirut, rivela la strategia del dragone cinese alla conquista dell’egemonia in Medio Oriente. La strategia messa in atto è a 360 gradi perché coinvolge paesi di quello scacchiere che spesso vivono relazioni assai conflittuali tra di loro, come Israele ed Iran, Arabia Saudita ed Iran, Libano ed Israele, Egitto ed Arabia Saudita, Siria e Turchia.

Questa strategia ovviamente è dettata dalla necessità di acquisire il controllo delle più estese e produttive fonti di idrocarburi, dato l’elevato fabbisogno energetico dell’industria e dell’economia cinesi, specie nel frangente attuale che vede il Dragone impegnato a “ripartire” dopo la parentesi e la pausa forzata causata dalla pandemia.

La “via cinese” verso il Medio Oriente e lo scacchiere mediterraneo, però, non è solo protesa al controllo delle risorse energetiche di idrocarburi; non è insomma una “via del petrolio” e basta. La Cina sta acquisendo anche il controllo, attraverso apposite società di gestione, dei porti più importanti in questo scacchiere, come quello di Alessandria d’Egitto, quello di Beirut in ricostruzione con capitali cinesi, il Kumport Terminal sul Mar di Marmara in Turchia, il Porto di Haifa in Israele.

Tessere importanti di questo mosaico strategico-geopolitico sono anche importanti infrastrutture realizzate dai cinesi come la ferrovia ad alta velocità che collega Gedda, La Mecca e Medina, la raffineria Yanbu sempre in Arabia Saudita, i 300 chilometri di alta velocità che collegano Eliat sul Mar Rosso con Ashdod sul Mediterraneo (la Red-Med), l’infrastruttura in 5 G di Hawei che copre il territorio degli Emirati, del Kuwait, del Barhein, oltre che quelli egiziani e sauditi.

Non mancherebbero anche primi presidi militari. Tre anni fà, a Gibuti, è stata realizzata la prima base militare cinese, la marina cinese, per accreditarsi a livello internazionale,  partecipa sistematicamente al controllo della pirateria nel Mar Arabico e nel Golfo di Aden; si sta progettando una base militare in Sudan, a Port Sudan sul Mar Rosso.

Last but not least, il Governo Cinese sta fornendo mascherine e vaccini anti-Covid a buon mercato a Giordania, Egitto, Emirati, Iraq, Barehin, Turchia e Marocco.

Ad uno sguardo non superficiale il dragone cinese sta utilizzando per fini egemonici e geopolitici una strategia “matteiana”, che ricorda in molte cose quella attuata da Enrico Mattei negli anni ’50 e ’60 nel Medio Oriente, tra molte difficoltà e ostacoli, al netto delle finalità che erano e sono del tutto differenti. Se per la Cina il fine è quella di assumere, dopo un secolo di isolamento, il ruolo di grande potenza planetaria, il fondatore e presidente dell’Eni mirava alla “sovranità energetica” italiana, presupposto ineludibile per rilanciare la nostra economia dopo la seconda guerra mondiale, e a restituire all’Italia un ruolo di preminenza geopolitica nel Mediterraneo.

Verrebbe da dire che mentre Mattei , per sottrarre i paesi del Medio Oriente, allo sfruttamento delle grandi compagnie petrolifere (le Sette Sorelle) utilizzò l’arma di sostituire il modello “fifty-fifty” che regolava le royalties con quello “75-25%” nonché la costruzione di infrastrutture di sviluppo e raffinerie cogestite con questi paesi; la Cina sta utilizzando il mercato a costi bassi delle mascherine e dei vaccini unitamente alle infrastrutture delle quali si è prima parlato.

La Cina potrà con determinazione portare avanti questa strategia, in quanto stato totalitario non soggetto ad alcun controllo e potendo approfittare della “mollezza” europea e, persino, statunitense in qualche maniera. Mattei dovette fronteggiare avversari interni ed esterni fortemente ostili. Poté sì giovarsi del contesto “neoatlantista” costruito e consentito dalla leadership politica di Amintore Fanfani ma, allorché si iniziò a parlare di un’autonoma “politica estera” del manager marchigiano, perse anche questo sostegno.

Il suo disegno, nevvero, mirava anche ad andare oltre il tema della “sovranità energetica” puntando a ristabilire un ruolo primario dell’Italia nello scacchiere mediterraneo. Non altrimenti egli poté affermare l’11 gennaio 1958, inaugurando la Scuola di studi superiori sugli idrocarburi, con un’espressione assai eloquente:<< Abbiamo bisogno di trovare il nostro posto al sole, non con la forza, ma con la collaborazione.>>

Addirittura arrivò a prospettare agli americani la necessità di un “nuovo atlantismo” che prevedeva una diversa presenza nel Medio Oriente. Accanto a questi paesi, e con l’intento di accompagnarne lo sviluppo, si sarebbe potuto evitare che l’Unione Sovietica vi penetrasse ed allargasse la sua sfera di influenza geopolitica, come di fatti avvenne negli anni ’60 e ’70 con i “protettorati” ed i patronages dell’Etiopia, dell’Angola, della Libia, dell’Algeria, della Siria e persino dell’Egitto. L’Italia, che aveva costruito con i paesi dell’area mediterranea un rapporto particolare e diverso, anche grazie a Mattei e all’Eni, avrebbe potuto assumere il ruolo di “intermediario” e di promotore di questo nuovo approccio. Il che, tra l’altro, era stato riconosciuto in un rapporto alla Casa Bianca del 7 agosto 1961 vergato dal plenipotenziario Usa C.D. Jackson

Afferma Leonardo Maugeri in “ L’Arma del Petrolio”, uno dei più documentati e accurati studi su Enrico Mattei:<< Il capo dell’Eni aveva infine sostenuto che le politiche delle compagnie petrolifere occidentali erano “suicide”, perché avrebbero inevitabilmente condotto alla nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi in pochi anni. L’Africa, in particolare, era destinata a divenire il terreno di battaglia tra Est e Ovest, e a meno che l’Occidente non si fosse mosso con “intelligenza” quest’area poteva considerarsi perduta. Per questo motivo egli aveva agito in modo da dare a tutti questi popoli un senso di partecipazione.>>

Certo la Storia non si fa con i “se” ma, qualora fosse stato dato seguito alla grande intuizione matteiana, oggi, con ogni probabilità, fronteggeremmo diversamente problemi epocali, come quello dell’immigrazione, e rischi globali come la conquista cinese, edulcorata con la eufemistica espressione di “nuova via della seta”.

Ennio Di Nolfo, tra i più attenti studiosi delle vicende e delle vicissitudini del petroliere pubblico marchigiano, sostiene che:<< Mattei percepì con grande lucidità i nuovi termini del problema. Al di là delle schermaglie d’occasione, appare ora corretto riconoscere nella sua visione una portata strategica che, se colta a tempo, avrebbe forse evitato al sistema produttivo occidentale molti momenti di crisi, specialmente nel mondo arabo.>>

Li Shaoxian, ex vicepresidente del “China Institute of contemporary international relations” ha detto che “il Medio Oriente è il cimitero delle grandi potenze”. Enrico Mattei lo aveva compreso e detto settant’anni orsono.

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